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mercoledì 12 novembre 2014

Lo chiamiamo “Signore”, ma pretendiamo arrogantemente che faccia ciò che vogliamo

18 SETTEMBRE 201

Il 1° ottobre uscirà il libro Permanere nella verità di Cristo (edito da Cantagalli) in cui cinque cardinali, tre accademici e un arcivescovo gesuita contestano la relazione che il cardinale Kasper espose al concistoro straordinario dello scorso febbraio. L’ultimo numero della rivista Communio, recentemente pubblicato, riporta vari articoli di alcuni cardinali e teologi in contrasto sulla tesi del porporato tedesco, secondo cui, in nome della “misericordia”, possono essere riammessi ai sacramenti anche coloro che sono oggettivamente in peccato mortale. Prese di posizioni che non sono piaciute, ovviamente, al fedele adepto di Rahner, ma neppure alla “Pravda vaticana”, il sito Vatican Insider.

L’eminenza grigia del sito vaticanista del quotidiano filo-massonico “La Stampa” è Andrea Tornielli, il quale introducendo una sua intervista – indovinate un po’ – al cardinale Kasper, definisce le pubblicazioni citate “guerra preventiva in vista del Sinodo”. Quando ho letto questo, non ho potuto fare a meno d’indignarmi. Se c’è qualcuno che sta facendo la “guerra preventiva in vista del Sinodo” è proprio Kasper, il quale sono mesi ormai che passa più tempo con i giornalisti di tutto il mondo che a pregare. Infatti, il cardinale tedesco, in un’altra intervista odierna, al Mattino, afferma che i suoi confratelli “vogliono la guerra al Sinodo, il Papa è il bersaglio” in quanto ”nessuno dei miei confratelli cardinali ha mai parlato con me. Io, invece, due volte con il Santo Padre. Ho concordato tutto con lui. Era d’accordo. Loro sanno che non ho fatto da me queste cose. Ho concordato con il Papa, ho parlato due volte con lui. Si è mostrato contento”.

Così ho deciso di scrivere direttamente ad Andrea Tornielli, visto che ben conosce Kasper e altri pezzi grossi, lasciando il seguente messaggio sul suo diario facebook:

Tornielli, Tornielli, non credevo che la mia opinione nei suoi confronti potesse cadere ancora più in basso. Capisco che deve guardarsi il pane terreno – per questo si è messo al basso servizio del quotidiano ufficioso della massoneria italiana – ma almeno mantenga un po’ di dignità giornalistica, visto che quella di uomo – e di cattolico – l’ha persa da molto tempo.

Lei può intervistare tutti i falsi “teologi in gamba” che vuole, può sostenere che si sta facendo la guerra al Papa regnante – ma a Lei interessa più Jorge Mario Bergoglio che papa Francesco, poiché confonde Simone con Pietro – ma alla fine, ciò che conta è il Comandamento immutabile del Signore: “Non osi separare l’uomo ciò che Dio ha unito”. Che cosa c’è da interpretare? Gesù non ammise il “ma” neppure degli Apostoli, figuriamoci se dà peso ai deliri di certi “buoni teologi” fantasmi.

I papi e i cardinali passano, restano il papato e il collegio episcopale in comunione con il papato. Anche i vaticanisti al servizio di giornali massonici passano!

Ma Kasper – che le lascia spesso interviste, mentre gli altri cinque cardinali, evidentemente, hanno meglio da fare che perdere tempo a fare campagne mediatiche con certi vaticanisti – chi cavolo si crede di essere? Il ventriloquo di papa Francesco? Il suo portavoce ufficiale? Una specie di vice-papa? Ma chi cavolo tutti quanti voi credete di essere? Pensate di essere i padroni della Chiesa e dei sacramenti? Ma a voi interessa Cristo o fare bella figura col mondo, il cui principe è il diavolo?

Santa Caterina da Siena, la santa papista per eccellenza, scrisse al Papa di non preoccupasi dell’opinione del mondo, ma della Volontà di Dio.

Dunque la battaglia ideologica la state facendo voi, tirando il Papa regnante per, come si suol dire, la veste.

«Perché mi chiamate Signore e non fate ciò che vi comando?»: a questa domanda non risponda a me, ma al Signore stesso.

È necessario che i nostri pastori si rendano conto che la pastorale è un mezzo, uno strumento per insegnare – e far vivere – la dottrina, non un sotterfugio per raggirarla. Il Signore non si scandalizza della nostra debolezza, ma aborrisce l’ipocrisia, soprattutto dei suoi ministri.

Fonte: http://www.papalepapale.com/strega/?p=2454

Commento

Cari amici, brutta malattia la "progressismo acuto", ossia la ricerca costante e fine a se stessa di cambiare le cose. Peggio ancora se il fine non è quello apparente di "fine a se stesso" ma quello di distruggere tutto senza dare troppo nell'occhio ai più.

Purtroppo finché continueranno ad esserci persone che credono che:
  1. Gesù Cristo era un comunista ante litteram
  2. Il Comunismo è la naturale evoluzione del Cristianesimo e le due cose sono compatibili
  3. San Francesco d'Assisi era una sorta di ambientalista figlio dei fiori
  4. Ecc..
e finché non ci saranno brave guide a negare con decisione queste idee errate, non sarà impossibile ma del tutto inutile spiegare ai fedeli e non il resto della dottrina cattolica, mentre quelli che in cuor loro hanno la rovina della Chiesa continueranno ad avere vita facile.

Riccardo Ing







mercoledì 3 settembre 2014

Ecco come smascherare i radical chic 2.0 (in 12 punti) [E, aggiungo io, per allietare lo spirito]

di Maria Francesco del Vigo
Qualche giorno fa, sul Giornale, ho pubblicato una lista in nove punti sui tic dei radical chic on line. Questa è la versione integrale:

  1.  La foto del profilo non è (quasi) mai una loro foto. Sarebbe troppo nazionalpopolare. Mettono solo frammenti di film di qualche regista polacco mai distribuiti fuori dalla circonvallazione di Varsavia. 
  2. Quando scelgono una loro immagine deve essere schermata da almeno cinque o sei filtri, avere delle velleità artistiche e magari ritrarre solo una parte del viso. Espressione sempre preoccupata per i destini del mondo. Il sorriso è bandito come un retaggio del ventennio berlusconiano. 
  3.  L’oroscopo è un vizio da portinaia. Ma se si tratta di quello di Internazionale no. Lo condividono su tutti i social come se fosse il Vangelo. 
  4.  Le foto delle vacanze vanno bene solo se si è nel terzo mondo o in un campo profughi. Pose obbligatorie: sguardo corrucciato, camuffati da indigeni e nell'atto di solidarizzare con gli abitanti del luogo. Il colore (degli abitanti del luogo) deve essere intonato alla nuance dei sandali Birkenstock. 
  5.  Su Twitter parlano tra di loro di cose che capiscono solo loro. Sublimazione del sogno radical chic: l’esposizione mediatica del salotto (ovviamente etnico) di casa propria. 
  6.  Sì al selfie, ma solo se ha un significato sociale e politico. Possibilmente con un cartello in mano che sostiene la battaglia di qualche gruppo di contadini ugandesi. Ancora meglio se su iniziativa di Repubblica.it. 
  7.  La Reflex. Più che uno strumento fotografico è un monile, una collana da appendere al collo. Condividono e scattano foto solo con voluminosissime – e costosissime – macchine fotografiche professionali. Preferiscono Flickr a Instagram, troppo plebeo. 
  8. Il meteo è il prolungamento della politica coi mezzi della natura. Se piove non è colpa del governo ladro, ma dello scioglimento dei ghiacci dovuto al capitalismo diabolico. Condividere (sui social) per educare. 
  9. Il cibo non esiste. Esiste solo il food. Da fotografare e condividere sui social solo a tre condizioni: che sia a km 0 (va bene anche se è stato coltivato nella rotatoria di Piazzale Loreto), etnico o equo e solidale. 
  10. La petizione on line è la nuova e comodissima forma di contestazione. Va bene per risolvere tutti i problemi: dal cambio degli stuoini nel condominio (meglio sostituirlo con un piccolo kilim) alla fame nel mondo. Basta un click. Tutto il nécessaire è su Charge.org. 
  11.  Film, libri, giornali. Tutto in lingua straniera. Molto chic condividere video di serie tv in lingua originale non ancora trasmessi in Italia. Appena oltrepassano le Alpi diventano rigorosamente pacchiane. 
  12. Anche Youporn è troppo pop. Forse anche sessista, potrebbe addirittura essere di destra con quello sfondo nero… Meglio ripiegare su siti soft porn o intellettual-erotici. Ammesso anche spulciare tra le pagine osè di Tumblr.
Fonte:
http://blog.ilgiornale.it/delvigo/2014/08/26/come-smascherare-in-12-passi-i-radical-chic-2-0/

Commento

Cari amici. Oggigiorno la satira è la cronaca più veritiera che possa esistere.
Non solo! Forse è l'unica cronaca che può definirsi tale nel presente e sapete perché?
Fare satira significa anche sottolineare e magari ingrandire gli Eccessi, ma vivendo noi nella società degli Eccessi, per conseguenza logica la satira diviene narrazione di questa società.

martedì 22 luglio 2014

Il nostro miserabile Stato ebraico, Gideon Levy

Ora sappiamo : nello Stato ebraico vi è compassione e sentimenti umani solo per gli ebrei, diritti unicamente per il Popolo eletto. Lo Stato ebraico è solo per gli ebrei.

I giovani dello Stato ebraico attaccano dei palestinesi nelle strade di Gerusalemme, esattamente come i giovani dei gentili (Goyim) attaccavano gli ebrei nelle strade d’Europa. Gli israeliani dello Stato ebraico si scatenano sui social network spargendo odio e desiderio di vendetta di una vastità diabolica senza precedenti. Sono i figli della generazione nazionalista e razzista, la discendenza di Netanyahou. Da cinque anni hanno sentito unicamente incitamento, dichiarazioni allarmistiche e supremazia sugli arabi da parte del vero istruttore di questa generazione : il primo ministro Benjamin Netanyahou. Non una sola parola di umanità, di compassione o di trattamento alla pari. Sono cresciuti nel contesto della provocante rivendicazione del riconoscimento di Israele come “Stato ebraico” e ne hanno tirato le conclusioni.

La massa ha interiorizzato il vero significato : uno Stato ebraico è uno Stato nel quale vi è posto solo per gli ebrei. La sorte degli africani è di essere spediti al centro di detenzione di Holot nel Neguev e quella dei palestinesi è di subire i pogrom. In uno Stato ebraico la presidente dell’Assemblea della Knesset, Ruth Calderon, taglia la parola al deputato arabo Ahmed Tibi appena tornato, sconvolto, dalla visita alla famiglia di Shoafat, il giovane arabo che è stato massacrato, e gli fa una cinica predica sul fatto che deve anche parlare dei tre giovani ebrei uccisi (allorchè Tibi lo aveva appena fatto).

Nello Stato ebraico la Corte suprema autorizza la demolizione della casa di un uomo sospettato di omicidio ancor prima che venga condannato. Lo Stato promulga leggi razziste e nazionaliste e i suoi media si lamentano dell’omicidio di tre giovani studenti e praticamente ignorano la sorte di molti giovani palestinesi della stessa età, uccisi dai tiri dell’esercito israeliano negli ultimi mesi, in genere senza motivo. Nessuno viene punito per i suoi atti – c’è una legge per gli ebrei e una per gli arabi, la cui vita vale poco. Nessun rispetto del diritto internazionale o delle convenzioni internazionali. Nello Stato ebraico vi è compassione e sentimenti umani solo per gli ebrei, diritti unicamente per il Popolo eletto. Lo Stato ebraico è solo per gli ebrei .

La nuova generazione è pericolosa, per sè stessa e per chi sta attorno. Netanyahou è il suo ministro dell’educazione; i media militaristi e nazionalisti fanno ufficio di poema pedagogico. Nello Stato ebraico non resta niente dell’ingiunzione biblica secondo cui si deve essere giusti con la minoranza o con lo straniero. Non vi sono più gli ebrei che avevano manifestato con Martin Luther King o fatto la prigione con Nelson Mandela. Lo Stato ebraico, che Israele vuole assolutamente far riconoscere ai palestinesi, innanzitutto deve riconoscere sè stesso. Al termine della giornata, dopo una settimana terribile, sembra che questo Stato sia uno Stato razzista, nazionalista , concepito unicamente per gli ebrei.

Fonte:
http://www.lintellettualedissidente.it/il-nostro-miserabile-stato-ebraico-gideon-levy/

Commento

Cari amici. Davvero secondo questo Mondo Occidentale Globalizzato e secondo chi lo comanda la vita di 1 ragazzo ebreo vale più di 201 vite di palestinesi (bambini compresi)? Se la matematica non è un opinione, parrebbe di sì visto che sulla base di quanto riporta oggi l'ANSA, solo salite a 605 le vittime delle incursioni israeliane = 605 / 3 = circa 201.

 Mi chiedo quanto durerà ancora questo "il credito dell'Olocausto" che l'elìte ebraica mondiale vanta nei confronti dell'umanità, ma stando a quanto vedo sembra quasi che esso sia illimitato.
Con esso Israele e i suoi sostenitori possono fare e pretendere qualsiasi cosa immuni da qualsiasi critica o giudizio, la pena a chi non onora questo "debito" è l'ostracismo culturale, politico e sociale, e taluni casi, anche qualcosa di più.

Eppure, per parafrasare Giovanni Falconi a quando parlava di mafia, io dico che: "Il Sionismo non è un fenomeno divino ma un fenomeno umano, e per quanto possa essere durato nella sostanza quasi 2000, come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio e avrà anche una fine."

Preghiamo il Signore per le vittime di questi giorni a Gaza.
Preghiamo cari amici affinché il SIgnore ci aiuti per arrivare a vedere il giorno della fine del Sionismo e l'inizio di qualcosa di migliore.

Riccardo Ing



lunedì 14 luglio 2014

Come si risponde al 14 luglio?

Massimo Viglione 14-Luglio-2013



Oggi la Francia di Hollande commemora la sua “festa nazionale”. Chi non è più giovanissimo, ricorderà bene i festeggiamenti per il bicentenario della Rivoluzione Francese. C’era ancora Mitterand, e fu uno sproloquio continuo (e non solo in Francia, anche all’estero, e in primis in Italia, ovviamente) di diritti dell’uomo, liberté, egalité, fraternité, république, laïcité, e tutto il solito trito e ritrito vocabolario rivoluzionario. Ma era ormai un Mitterand un po’ “spompato”… inoltre si stavano per vivere i giorni convulsi del crollo del comunismo, il declino inaspettato del “sol dell’avvenire”, mentre negli USA Bush padre proseguiva a suo modo la politica di Reagan e in Gran Bretagna dominava ancora la Thatcher. Così, in fin dei conti, il bicentenario fu al dunque meno caloroso e vissuto di quello che ci si sarebbe potuto aspettare. 

Non solo: il mondo stava per cambiare, ma non si capiva ancora come: di quali diritti ci si doveva vantare ora? Quelli degli operai non erano più di moda. La droga ormai non poteva ingannare più nessuno. L’aborto era conquistato. Al contrario, quelle che sarebbero state le bandiere del neo-illuminismo degli anni 90 e inizio millennio, ancora non sventolavano, almeno non nel grande pubblico e nei media, come oggi accade: l'immigrazionismo era solo agli inizi, l'omosessualismo un vago concetto; e in quanto all'animalismo, alla bestialità, alla pedofilia e all'incesto, era troppo presto. 

Ma, dopo quasi un quarto di secolo, tutto è cambiato. L’immigrazionismo è ormai acquisito, come lo era l’aborto nel 1989; l’omosessualismo non è più novità avanguardista, bensì vero e proprio campo di battaglia quotidiano; bestialità, pedofilia, incesto, sono i nuovi diritti del neoilluminismo, di cui la UE è il contenitore per eccellenza, e di cui oggi, la Francia, è più che mai portavoce, come 24 anni fa, come 224 anni fa. 

Hollande, sebbene non abbia affatto il suo carisma, è molto peggio di Mitterand, sia personalmente (Mitterand era uno scaltro più che un ideologo) che ideologicamente: il suo è il governo che ha ricominciato a mettere in galera cittadini con pieni diritti civili per la sola esposizione di idee politiche avverse al regime (il giovane Nicolas è stato imprigionato per avere indossato una maglietta prolife); è il governo che costringe un sindaco alle dimissioni per essersi rifiutato di celebrare un “matrimonio” omosessuale (e speriamo che non finisca in galera anche lui); è il governo che ha ricominciato, tramite un suo ministro, a dichiarare che il male supremo dell’umanità è il Cristianesimo, con il quale non può esservi vera libertà, mentre è tempo di ripristinare il culto dell’Ente supremo; è il governo che ha appena dichiarato essere reato citare la parola “razza”… 

Ho usato il termine “ricominciato” non casualmente. Quanto sta accadendo è tutto un “déjà vu”. Già visto, 220 anni or sono. Perfino la terminologia è la stessa: “ente supremo”, cristianesimo come “male supremo dell’umanità”, ecc. Identico è il meccanismo giuridico con cui si eliminano i “nemici del progresso”: quello dei diritti dell’uomo, la più grande trappola inventata dalla Rivoluzione anticristiana e antinaturale, in quanto ammantata dello zucchero al veleno dell’ambiguità dell’espressione. Contestare l’omosessualismo oggi, come la bestialità, la pedofilia “pacifica” o l’incesto domani, vuol dire ledere i diritti altrui. Poco importa che anche la contestazione è un diritto: questo vale solo quando a contestare sono i nemici del Cristianesimo, non i cristiani. Perché la dottrina illuministica dei diritti dell’Uomo si è alla fine sempre rivelata come il trionfo della legge del più forte. Del diritto del più forte. Di colui che sa fare le rivoluzioni, non le chiacchiere buoniste e tolleranti. 

La Francia del 14 luglio del 2013 è la stessa Francia del 14 luglio del 1789, o del 1793. Non c’è da illudersi: troveranno una nuova ghigliottina per eliminare tutti i nemici del progresso, i “nemici della Rivoluzione”, i “controrivoluzionari”. E lo faranno tramite la magistratura, esattamente come avvenne nel 1793, con la “legge sui sospetti” e l’istituzione del “tribunale rivoluzionario”, gli strumenti utilizzati dal giacobinismo e dal suo uomo forte per imporre alla Francia il più terribile totalitarismo e terrorismo fino ad allora mai visto, che ha procurato la guerra civile al Paese, la fine della vera libertà e 500.000 morti, di cui 300.000 nella sola regione della Vandea, e quindi anche il primo genocidio della storia umana. 

Possiamo dire che oggi veramente la Francia festeggia il suo 14 luglio, forse come mai lo aveva festeggiato in precedenza. È la Francia figlia di Voltaire, dell’Éncyclopedie, di Rousseau, Diderot, d’Alambert, La Mettrie, Condillac, Helvetius, ecc. La Francia figlia di Marat, Desmoulins, Danton, Robespierre, Saint-Just e tutto il resto. È la Francia della ghigliottina, che taglia la gola a chi dissente, a chi obbietta (che sia sindaco, medico, infermiere, prete, ecc.), a chi non si adegua. E che sta cercando il suo Napoleone per imporre la sua nuova rivoluzione, in tutta Europa, e in primis in Italia. 

Con una grande differenza però: due secoli or sono, Napoleone incontrò la resistenza invalicabile anzitutto della Chiesa, quindi di tutti gli Stati monarchici e cristiani europei, e soprattutto quella delle popolazioni, che insorsero in armi contro i suoi eserciti e le loro idee sovversive, e anzitutto e soprattutto in Italia (gli insorgenti); oggi, non vi sono più monarchie cristiane pronte a difendersi, ma vi è l’Unione Europea, che avalla e aggrava quanto avviene in Francia in ogni modo possibile; non vi sono più insorgenti, e tanto meno ecclesiastici pronti a alla resistenza in nome della Fede e del diritto naturale, pronti a rischiare tutto e a mettersi alla guida delle popolazioni per difendere i diritti di Dio anziché quelli degli uomini; oggi non v’è più nessuno, in nessun campo, pronto alla resistenza. 

Oggi vi sono solo uomini e donne semplici, ma di fede, sparsi ovunque, disorganizzati, quasi sempre ostacolati dai loro stessi preti e parroci, dai loro stessi movimenti, giornali, intellettuali, cattolici; eppure, pronti alla lotta. Sono un po’ ovunque, ma direi specialmente in Italia e nella stessa Francia, oggi come allora: Insorgenza e Vandea. 

Questi devono essere i giorni di una nuova Vandea e di una nuova Insorgenza cattolica: non armate o violente, ma ancor più ferme e decise nella difesa della civiltà. Non più guidate da ecclesiastici – quasi sempre in tutt'altre faccende affaccendati o rintanati tremebondi nelle loro stanze, quando non complici del neo-illuminismo – o da aristocratici uccisi nella loro dignità dalla “moda” e dalla bella vita, ma partecipate da decine di migliaia, forse centinaia di migliaia di cattolici laici (compresi alcuni aristocratici degni della loro nascita e della loro stirpe, che pur non mancano) e anche da quei pochi ecclesiastici che non vengono meno al loro dovere di stato e al loro ruolo di guide, i quali, tutti insieme, dovranno – ora, non domani – lottare in difesa della civiltà cristiana, della Chiesa, del diritto naturale (l’unico diritto esistente e cogente moralmente), della famiglia naturale (l’unica famiglia possibile) e della libertà di ogni uomo. 

La scelta che si impone è tra il 14 luglio e la Contro-rivoluzione; tra la ghigliottina e il Terrore totalitario da un lato, e la libertà e la natura dall'altro, tra l’Ente supremo e la Ss.ma Trinità, tra la società dei diritti dell'omosessualismo, animalismo, bestialità, pedofilismo, incesto da un lato e la società del trionfo del Cuore Immacolato di Maria dall'altro; tra il trionfo del piano massonico di rovesciamento mondiale del bene a danno definitivo di ogni uomo in nome dei diritti dell’uomo e il trionfo della Regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, unico vero difensore di ogni sua creatura, non per presunti diritti , ma in nome di un'infinita carità. 

Vivere nel mondo del 14 luglio è ben peggio che finire in bocca ai leoni o sotto una ghigliottina. Tutti i santi, martiri ed eroi della nostra fede ce lo insegnano: seppero dare la loro vita per non accettare molto ma molto meno di quanto la Rivoluzione prospetta oggi. 

Oggi più che mai sono i giorni della scelta. E dell’azione. Un’azione pacifica e legale, ma costante e crescente, che coinvolga la forza e l’impegno di tutti gli uomini di buona volontà. Come seppero fare 220 anni fa i cattolici della Vandea e gli insorgenti nostri antenati. 

Prepariamoci spiritualmente, moralmente, intellettualmente e concretamente. L’azione, poi, con l’aiuto della Vergine Maria e di San Michele Arcangelo, verrà e sarà dirompente, se sapremo rispondere con coraggio alla Grazia. 


Fonte
http://www.ilgiudiziocattolico.com/1/204/come-si-risponde-al-14-luglio.html

Commento:

Meglio una minaccia per voi, nemici della Chiesa, adesso che la perdizione domani.
Quindi io vi dico:
State abusando della nostra pazienza da più di 2 secoli!



Sappiate che quando ci libereremo delle catene, potrà capitare che il senso di misericordia potrebbe venir meno e allora sì che avrete qualcosa per cui potrete dire: "abbiamo un serio problema!".

Riccardo Ing




giovedì 10 luglio 2014

Samurai, milizia di Dio: La questione giapponese



Tratto dall'articolo "La questione giapponese"

In pochi sono a conoscenza dei valorosi samurai cristiani che, sebbene non siano stati dichiarati santi, hanno profondamente segnato la storia del paese del sol levante – da notare: il 24 novembre del 2008 la Chiesa Cattolica ha riconosciuto come martiri e beati 188 di questi guerrieri.

Può sembrare strano il considerare questi samurai – i quali spesso inondando la nostra televisione e schermi cinematografici – come modelli di vita cristiana, eppure non ebbero nulla da invidiare ai più rinomati santi occidentali.
L’evento cruciale è da rintracciarsi a cavallo tra il 1500 ed il 1600: dopo decenni di numerose conversioni dovute all'incessante lavoro dei missionari, il “signore della guerra” Toyotomi Hideyoshi (1536-1598), divenuto imperatore del Giappone, decise di punire con la morte qualsiasi persona che avesse voluto abbracciare la nuova fede.
Il suo successore, Tokugawa Ieyasu (1543 – 1616) si dimostrò ugualmente contrario ad ogni devozione cristiana.


Uno dei martiri dell’epoca fu Zaisho Shichiemon (XVII secolo): accettò il battesimo, nonostante l’espresso divieto del suo maestro. Quando quest’ultimo gli ricordò che tale sfida poteva essere punita con la morte, egli rispose: “Lo so, ma ho capito che la salvezza sta nella dottrina di Gesù, e nessuno mi può separare da Lui“.
Quattro mesi più tardi gli fu nuovamente ordinato di rinunciare alla sua fede. Zaisho rispose: “Vorrei obbedire a qualsiasi altra disposizione, ma non posso accettare un ordine che si opponga alla mia salvezza eterna“. Fu giustiziato poco dopo nella strada adiacente l’ingresso della sua casa.
Uguale sorte toccò a Yukinaga Konishi (1555 – 1600), il quale fu decapitato in quanto cristiano e per essersi rifiutato di morire secondo la tradizione locale ovvero tramite suicidio, il seppuku (切腹).

Alcuni fedeli furono costretti a lasciare il suolo nipponico: tra di essi vi era il coraggioso Dom Justo Takayama (1552 – 1615) il quale aveva apertamente sfidato l’editto di Hideyoshi, perdendo di conseguenza tutti i suoi averi. Riuscì ad evitare la pena capitale grazie alla rispettabilità che godeva tra i nobili del tempo, tuttavia fu espulso nel 1614 dal nuovo sovrano Tokugawa Ieyasu. Il processo per la canonizzazione di Takayama è tutt’ora in corso, ma si crede che l’elevazione a santo possa avvenire già nel 2015.
Le persecuzioni contro i cristiani furono sempre più aspre: l’esercito imperiale non esitava ad utilizzare persino Miyamoto Musashi, considerato il più grande spadaccino della storia, al fine d’uccidere alcuni semplici contadini.
L’escalation delle violenze ebbe il suo culmine nel 1637 con la rivolta di Shimabara, dove 25,000 uomini di fede cristiana guidati dal rōnin di appena 16 anni Amakusa Shirō Tokisada (1621 – 1638) fronteggiarono 125,000 soldati dello shogunato: 37,000 persone tra ribelli e simpatizzanti vennero decapitati dopo un’eroica resistenza e le leggi contro il Cristianesimo divennero ancor più crudeli.
Solo nel 1850, a seguito dell’apertura del paese al mondo occidentale, i cristiani poterono ricominciare a professare la propria fede pubblicamente.


Commento 

Cari amici. Forse a causa di un certo pacifismo, tutt'altro che cristiano, imperante anche nella Chiesa si tende a stigmatizzare ogni qual forma di tradizione militare incluse quelle che abbiano legami con la cristianità quasi fossero residui ancestrali legati ad un passato di cui costantemente noi cattolici dobbiamo costantemente fare mea culpa, con gioia infinita degli esponenti della cultura laicista anticattolica come Eugenio Scalfari e Corrado Augias.

Tutto coerente mi verrebbe da pensare. Quando gli oppressi, inutile negare che oggi siamo noi cristiani, quale sistema migliore di delegittimarli e di zittirli se non quello accusarli di essere violenti, magari ricordando a loro e a tutti le crociate, ingiuste non in quanto alle ragioni ma in quanto alla loro natura di "guerre"?

E' davvero un sistema efficace ed efficiente! Sì inventa una pseudo dottrina di non violenza prendendo qua è là passi delle sacre scritture, mescolando con essi concetti progressisti di pacifismo e infine gli si appiccica il marchio "Cattolico" e la si sventola davanti ai Cattolici che non accettano certe cose (tra cui rinunciare alla testimonianza) dicendo loro: "Voi siete cattolici, sta scritto che dovete solo subire!"..... Magari le stesse persone il giorno dopo, come sta avvenendo in questi giorni (Vedi qui) approvano (quando non si voltano dall'altra parte per non vedere) i bombardamenti Israeliani contro i palestinesi gente quasi inerme che non ha ne una marina militare, ne aviazione ne tanto meno un valido esercito che possa dirsi tale.

Eppure «Se non c’è battaglia non c’è cristianesimo» così si espresse il nostro Papa emerito Benedetto XVI.

Badate non divengano, questo articolo e il mio commento, degli elogi alla violenza!
Auspico invece che diventi motivo di orgoglio per quanti come me amano la propria storia e magari praticano qualche disciplina marziale proveniente da quel lontano paese che è il Giappone!

"Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra: sono venuto a portare non pace, ma spada!" (Matteo 10,34)
Egli ci da la pace, la vera pace, non come la dà il Mondo lui la dà a noi ma come la dà Dio
E' proprio vero che come scrisse Soloviev: L'Anticristo un sarà 'convinto spiritualista', un ammirevole filantropo, un pacifista impegnato e solerte, un vegetariano osservante, un animalista determinato e attivo”.

Riccardo Ing


PS:

In merito alle vicende dei cattolici e in particolare ai samurai Cattolici esistono storie e racconti che pochissimi conoscono ed essi riguardano i mandanti e gli artefici delle carneficine che martirizzarono questi guerrieri.
Essi, i mandanti, gli assassini, a differenza della popolazione non hanno mai accettato questi gaijin, la loro religione predicata e il semplice fatto che molti giapponesi, tra cui diversi samurai, per molte affinità e punti di contatto con il bushido potessero farla propria, scalzando il vecchio credo e alcune pratiche "nascoste" ad esso correlate.

Loro sono chiamati anche gli ashura, i DEMONI. Sono definiti così poiché affrontare uno solo di loro non è come affrontare un semplice essere umano.
Non sono essere umani poiché sono come demoni che colpiscono dalle tenebre.

mercoledì 2 luglio 2014

Preti pedofili, figli del 1968

di Massimo Introvigne

Gli Stati Uniti sono il Paese del mondo dove la Chiesa Cattolica è stata più colpita dalla tragedia dei preti pedofili. Sono anche il Paese dove questa tragedia è meglio conosciuta grazie alla storica decisione dei vescovi americani di affidare a uno dei più autorevoli istituti accademici di criminologia del mondo, il John Jay College della City University of New York, il maggiore studio sul tema mai realizzato su scala internazionale. La City University of New York non è un’università cattolica ed è anzi un tempio del «politicamente corretto». I vescovi americani – non da soli – hanno finanziato lo studio, ma non ne hanno in alcun modo influenzato i risultati. Il John Jay College ha prodotto un primo rapporto del 2004, che analizza in modo minuzioso statistiche riferite a cinquantadue anni, dal 1950 al 2002, un rapporto supplementare nel 2006 e ora un nuovo grande studio, datato maggio 2011, dal titolo «Le cause e il contesto dell’abuso sessuale dei minori da parte di preti cattolici negli Stati Uniti, 1950-2010».

Lo studio, come sempre accade in questi casi, va letto tutto, mentre già molte agenzie di stampa hanno battuto i loro comunicati dando rilievo soltanto a cinque righe – peraltro capite male – che sembrerebbero escludere ogni correlazione tra crisi dei preti pedofili e omosessualità. Lo scopo del rapporto del 2011 è quello – dopo avere presentato nel 2004 dati accurati per rispondere alla domanda su «quanti» preti hanno abusato di minori – di affrontare la questione, ancora più difficile, del «perché» lo hanno fatto.

Il nuovo studio inizia riepilogando e aggiornando i dati quantitativi, che a sette anni dal rapporto del 2004 – di cui si troverà una sintesi nel mio libro Preti pedofili (San Paolo, Cinisello Balsamo [Milano] 2010) – rimangono ancora poco conosciuti, specie in Italia. Lo studio del 2004 riferiva che nell’arco dei cinquantadue anni dal 1950 al 2002 4.392 sacerdoti americani su circa 109.000 che avevano esercitato il ministero, cioè il 4%, erano stati accusati di rapporti sessuali con minori. Accusati, naturalmente, non significa condannati: a una condanna penale si era arrivati in meno di metà dei casi, in qualche caso forse per l’abilità degli avvocati o la prescrizione ma in altri perché gli accusati erano effettivamente innocenti.

Il testo del 2011 insiste su un punto già sottolineato nel 2004: questi numeri non si riferiscono a «preti pedofili». Esiste una definizione medica della pedofilia, che si riferisce a rapporti con minori che non hanno raggiunto la pubertà. Ci viene ora ripetuto che l’80% delle vittime nelle accuse di abuso avevano superato la pubertà, e – dal momento che i veri pedofili tendono ad avere vittime multiple – a «meno del cinque per cento» (p. 3) dei preti accusati può essere imputato un comportamento «pedofilo». Se un sacerdote ha rapporti sessuali con una sedicenne – o con un sedicenne – si comporta certamente molto male, ma non si tratta di pedofilia.

Altri due dati quantitativi molto importanti sono richiamati dal rapporto. Il primo è che l’impressione che i media danno secondo cui i preti cattolici sono una categoria «a rischio» per quanto riguarda la pedofilia è falsa. Dopo avere osservato che nessun’altra istituzione ha aperto i suoi archivi e favorito ricerche così precise come quelle che negli Stati Uniti hanno interessato la Chiesa Cattolica, il rapporto passa in rassegna le comunità protestanti, i Testimoni di Geova, i mormoni, gli ebrei, e ancora le scuole pubbliche, le società sportive giovanili, i boy scout e conclude che – benché i dati limitati non permettano conclusioni certe – tutti gli elementi parziali che emergono sembrano indicare almeno che in tutti questi ambienti il rischio di abusi di minori non è più basso rispetto alle parrocchie e alle scuole cattoliche. Se poi si passa a un dato di carattere generale, si nota che negli Stati Uniti 246 minori ogni centomila sono vittima di abusi sessuali. Non è possibile sapere quanti minori «vengono in contatto» con preti cattolici, ma se prendiamo come riferimento i cresimati possiamo concludere che vittime di abusi in ambienti cattolici sono quindici minori ogni centomila. Detto in altre parole, le parrocchie e le scuole cattoliche purtroppo ospitano anche loro dei «pedofili» ma sono un ambiente sedici volte più sicuro rispetto alla società in genere.

Un altro dato, confermato dagli aggiornamenti 2003-2005 e ora 2006-2009 dei dati del rapporto del 2004, è che il numero di abusi di minori da parte di sacerdoti cattolici diminuisce di anno in anno in modo davvero molto significativo. Il primo grafico del rapporto (p. 8) mostra un picco all’inizio degli anni 1980 e una discesa che diventa rapidissima negli ultimi anni fino ad arrivare a livelli oggi perfino inferiori rispetto all’inizio degli anni 1950. Per capire perché non è questa l’impressione che ha l’opinione pubblica occorre consultare il secondo grafico (p. 9), il quale mostra che – mentre gli abusi diminuiscono – le notizie relative ad abusi aumentano e raggiungono la quota massima nel 2002, l’anno della devastante inchiesta del quotidiano Boston Globe che secondo il rapporto dà inizio alla fase più acuta della crisi. Si tratta sia di un maggiore interesse giornalistico, sia del fatto che i tribunali ricevono nuove denunce da parte di studi legali specializzati (e milionari) che riesumano casi, veri o presunti, di venti o trent’anni prima. «Nel 2002 – riferisce il rapporto, citando l’anno record – le denunce di abusi sono state fatte nella maggior parte dei casi da vittime adulte o dai loro avvocati da venti a quarant’anni dopo che l’abuso si era verificato».

Dunque, per quanto le denunce e le inchieste giornalistiche aumentino, i casi diminuiscono, il che dimostra che le misure di prevenzione adottate dopo l’arrivo a Roma del cardinale Ratzinger come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 1981, funzionano. Il rapporto le passa ampiamente in rassegna, dando atto dell’efficacia delle misure – che sarebbero state prese peraltro rispetto ai primi scandali con qualche ritardo, a proposito del quale il testo ricorda le critiche di alcuni sacerdoti statunitensi al beato Giovanni Paolo II (1920-2005) – e proponendo due critiche. La prima è che, se la maggioranza dei vescovi si è adeguata alle prescrizioni di Roma e della Conferenza Episcopale, ci sono stati alcuni vescovi «ritardatari» e «i media si sono spesso concentrati sui ritardatari, benché questi fossero soltanto una minoranza dei capi delle diocesi, perpetuando così l’immagine di vescovi che nel loro insieme non stavano rispondendo al problema dell’abuso sessuale dei minori» (p. 119). La seconda critica è che la Chiesa Cattolica, mentre si occupava energicamente del problema, non sempre comunicava in modo adeguato con l’esterno. Sì, «la Chiesa ha risposto alla crisi e, come risultato, si è verificato un sostanziale decremento nel numero dei casi di abuso sessuale» (p. 122). Ma non è sempre riuscita a farlo sapere all’opinione pubblica.

I dati quantitativi formano la base per impostare la risposta al quesito sul come sia stato possibile che un numero – più piccolo di quanto molti pensano, ma comunque non irrilevante – di sacerdoti cattolici statunitensi si sia reso colpevole di abusi sessuali di minori. Il rapporto esamina anzitutto la tesi più diffusa in quelli che chiama «media popolari» (p. 34), notando come sorprendentemente abbia ricevuto «sostegno da diversi commentatori più seri» (ibid.): quella che lega gli abusi sui minori al celibato. Ma, osserva lo studio, «è un’ovvia osservazione statistica che la maggioranza degli abusi sessuali su minori sono commessi da uomini che non sono celibatari» (p. 35): pastori protestanti, maestri di scuola, allenatori di squadre giovanili, e anche padri di famiglia che abusano dei figli ovviamente non hanno fatto promesse di celibato. A questo dato comune negli studi sociologici – ma che sembra tenacemente sfuggire alla stampa popolare e anche a qualche ecclesiastico – il rapporto aggiunge che il celibato tra i preti cattolici c’era negli anni 1950 e 1960, è rimasto negli anni 1970 e 1980, e c’è ancora oggi. Dal momento però che gli abusi su minori sono relativamente rari negli anni 1950 e 1960, esplodono negli anni 1970 e 1980, diminuiscono negli anni 1990 e diventano di nuovo rari negli anni 2000 ci dev’essere una variabile diversa dal celibato che spiega questo andamento.
Venendo all’unico punto del rapporto del 2011 che ha subito attirato l’attenzione della stampa internazionale, posto che la «colpa» non è del celibato, può darsi che sia della tolleranza dell’omosessualità nei seminari cattolici a partire da una certa data? Qui gli autori del rapporto si sono trovati in qualche difficoltà, perché contro il loro studio del 2004 – il quale documentava che l’ottanta per cento dei sacerdoti che abusano di minori hanno come vittime ragazzi e non ragazze – avevano protestato a gran voce le organizzazioni omosessuali. Questa volta confermano il dato – secondo cui l’80,3% degli abusi sono di natura omosessuale (p. 104) – ma invitano a distinguere fra identità e comportamento.

«Quello che non si capisce bene – scrivono – è che è possibile per una persona partecipare in un atto con una persona dello stesso sesso senza assumere o riconoscersi un’identità omosessuale. Più di tre quarti degli atti di abuso sessuale di giovani da parte di preti cattolici, come abbiamo mostrato nello studio del 2004, sono atti tra persone dello stesso sesso (preti che abusano di vittime di sesso maschile). Ma è possibile che, benché le vittime di questi preti siano state nella maggior parte dei casi maschi, così definendo gli atti come omosessuali, il sacerdote non abbia mai riconosciuto la sua identità come omosessuale» (p. 36). Quanto ai sacerdoti sia arrivati in seminario, sia usciti dai seminari come omosessuali – le due categorie non coincidono –, secondo il rapporto statisticamente «sono più a rischio [degli eterosessuali] di avere rapporti sessuali dopo l’ordinazione» (p. 62), ma nella maggior parte dei casi avranno rapporti con adulti e non con minori.

Dunque, nessuna marcia indietro rispetto al 2004. Quando il rapporto del 2011 afferma che «i dati clinici non sostengono la conclusione […] che l’identità omosessuale è legata all’abuso sessuale di minori» (p. 74), questa affermazione – che certo vuole anche gettare acqua sul fuoco rispetto alle critiche al rapporto precedente – si riferisce appunto all’identità, mentre il legame fra gli abusi e «atti» o «comportamenti» omosessuali è confermato, né – i numeri essendo quelli che sono – sarebbe stato possibile il contrario. Dove però il rapporto dice qualcosa di nuovo è quando nega che le subculture omosessuali che si sono sviluppate nei seminari negli anni 1980 – e sono state stroncate, almeno in parte, negli anni 2000 – abbiano a che fare con gli abusi di minori. Non che queste subculture non ci siano state: ma quando hanno raggiunto la loro più grande diffusione la maggior parte di sacerdoti responsabili di abusi era già stata ordinata. Le subculture omosessuali nei seminari e l’abuso di minori sono fenomeni paralleli, non successivi. L’uno non è causa dell’altro e devono piuttosto avere le stesse cause.

Quali cause? Fenomeni complessi non hanno mai una causa sola, insiste il rapporto. C’è stata una ridotta efficienza del diritto canonico, che non si aspettava una crisi di queste proporzioni. La controprova è che, migliorata la normativa canonica, gli abusi sono diminuiti. C’è stata una scarsa attenzione alla formazione del clero sui temi della sessualità, dell’amore e del matrimonio: è significativo che il rapporto citi al riguardo il Magistero del beato Giovanni Paolo II e colleghi i risultati ottenuti nella lotta agli abusi alla maggiore riflessione, ispirata appunto dal Magistero, sul corpo e la sessualità nei seminari, un tema caro anche a Benedetto XVI.

La singola causa principale è però per il rapporto la crisi morale generale che ha colpito gli Stati Uniti negli anni 1960, «the Sixties» in America e «il 1968» in Europa. La pillola anticoncezionale, la legalizzazione dell’aborto, la cultura consumistica hanno determinato un’autentica rivoluzione nel comportamento sessuale, con conseguenze precedentemente inimmaginabili in tutti i settori della società. Alcuni si sono spinti fino alla giustificazione teorica, o almeno alla ricerca di ampie scusanti, per i rapporti sessuali con i minori. Nella stessa Chiesa Cattolica tra i «postumi del Vaticano II» (p. 7) c’è la penetrazione all’interno del clero e dei seminari di una mentalità influenzata dalla rivoluzione sessuale, anche se questa rivoluzione riguarda la società nel suo insieme e non solo la Chiesa Cattolica.

Qui, senza mai citarla esplicitamente, il rapporto arriva alle stesse conclusioni della Lettera ai cattolici dell’Irlanda di Benedetto XVI, del 19 marzo 2010, che identificava nel «rapidissimo cambiamento sociale», nel venire meno della «tradizionale adesione del popolo agli insegnamenti e ai valori cattolici», e nel fatto che all’interno della Chiesa «il programma di rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano Secondo fu a volte frainteso», il «contesto generale» all’interno del quale «dobbiamo cercare di comprendere lo sconcertante problema dell’abuso sessuale dei ragazzi».

Per quanto il rapporto del 2011 del John Jay College inserisca qualche clausola che omaggia lo stile politicamente corretto, e le obbligatorie critiche per i ritardi della Chiesa, i dati che offre confermano sia l’analisi di Benedetto XVI sia che le misure offerte dal Papa alla Chiesa vanno nella giusta direzione. Il rapporto, naturalmente, propone un’analisi che rimane nel mero ambito delle scienze umane e come tale non può tenere conto della dimensione ulteriore che il Papa non cessa di segnalare: la crisi, che è causa per Benedetto XVI di profondo dolore e vergogna e dove nessuna statistica può valere a scusare la gravissima responsabilità dei colpevoli, ha anzitutto cause spirituali, e deriva ultimamente dal venire meno della fede, della preghiera, della consapevolezza dell’altissima responsabilità del sacerdozio in contesti purtroppo più vasti di quello dei pochi preti davvero pedofili. Per quanto utili siano gli studi e i dati sociologici, anche i rimedi dovranno includere necessariamente una dimensione spirituale.

Fonte:
http://www.cesnur.org/2011/mi_ped.html

Commento

Cari amici. Contento, e non nascondo un certo orgoglio, di essere arrivato tramite i miei studi alle stesse conclusioni del Professor Introvigne, nel cercare di spiegare la realtà di questi riprovevoli fatti che hanno riguardato la Chiesa ancor più che in passato, ho voluto appunto enunciare quella che a grandi linee è stata l'evoluzione di alcune correnti di pensiero all'interno della Chiesa dopo il CV II°, una tra tutte l'antropocentrismo e gli effetti nefasti che esso ha avuto.

Purtroppo, un po' perché la gente anche cattolica tende a fidarsi di certi mezzi di comunicazione (specialmente di stampo anglosassone e non certo cattolici), un po' per lo spirito di ribellione post '68 che ha cambiato il nostro modo di pensare (volenti o no è innegabile), un po' per il secolarismo nelle sue varie forme, molti alzando il tono della voce mi dicono: "Tu difendi gli indifendibili!", "Sono tutti pedofili",.... il resto delle affermazione sono simili e spesso ripetitive.

Ogni cosa diviene spesso il nostro pretesto per agire senza freni e giustificare i nostri peccati!

Anche se a molti di voi posso sembrare un noioso, borioso vetero-cattolico sempre pronto a lamentarsi (forse è anche così), tuttavia anche in queste situazioni riesco a scorgere una scintilla di bene, ossia che nonostante tutto, in questo continuo attacco contro la Chiesa e i suoi ministri, persino da una grossa parte dei fedeli, vi è l'innato desiderio dell'uomo di avere dei riferimenti che non siano puramente umani ne di questo mondo ma che vadano oltre ad essi, ossia divini

Preghiamo il Signore perché renda questa luce ancor più brillante in questo notte di tenebre e smarrimento che avvolge l'umanità.
Preghiamolo perché renda vani i progetti dei superbi, trasformando il Male in Bene

Riccardo ing

venerdì 27 giugno 2014

La Chiesa plastilina. O della mistica del “dialogo” come armistizio tra bene e male

Posted on 08/06/2014 by Il Mastino


Un disordine autoritario, dove tutto è concesso meno che essere “integralisti”, l’unico peccato rimasto, il solo peccato originale possibile. Tutto si può pensare, dire e fare, meno che cose da “integralisti”. Visti come agenti di disturbo della clericale concordia conviviale, del rilassamento morale universale, del patto scellerato tra chiesa e mondo, dell’“unità” come armistizio tra bene e male sul cui altare unto d’ipocrisia tutto è sacrificato. È l’appiattimento che si vuole, la piallatura intellettuale, il conformismo più tetragono sotto parvenze festaiole e sentimentali. Lo si vuole e lo si impone con la violenza dissimulata, sul popolo cattolico non ancora allineato, e perciò sospetto di “integralismo”. Ossia di anticonformismo.

di Antonio Margheriti Mastino

Io sono un osservatore attento, mi interessano i tipi umani. Li osservo con spirito laicissimo anche dentro le chiese, ché benché io sia cattolico convinto, nulla ho di clericale, niente di bigotto, rinunciando alla mia militanza a sinistra e progressista ho rinunciato pure al clericalismo. Per cui non ho remore a descrivere le cose per come laicamente mi appaiono. E quasi sempre sono.


Ecco.

Il “dialogo” è la minaccia che precede l’aggressione

Osservo con attenzione un tipo umano che conosco bene: il cattolico “dialogante”, sorridente, conviviale, buono e buonista, carico di dichiarazioni ecumeniche, pacifico in tutto. Apparentemente. Lo conosco bene perché da quell’ambiente provengo quantunque nulla di pacifico, lì pure, io avessi: sono sangue bollente. In ogni contesto. Questi tipi qui non basta osservarli, occorre anche ascoltarli, e poi fare comparazione. E porsi delle domande, anzi no: trarne le somme.

Dialoganti davvero, visto che citano la parola “dialogo” più di quella “Gesù”?

Sì, ma fino a un certo punto: tu prova a contraddirli nelle loro certezze, presentate come “sensibilità” personali, “secondo me” elevati al rango di ecclesiologia, prova a contraddirli e vedi come viene fuori la loro forza. Prova a questi qui a dare un posto di comando dentro i luoghi clericali, e vedi come questa forza trasmuta in brutalità: il loro tollerantismo ostentato si trasforma in dispotismo dissimulato, sino a sfociare nella vera repressione violenta. Di ogni variante al loro pensiero unico. E meno di tutti tollerano l’eccesso di zelo devoto, ammettono, anzi perorano il clericalismo, la divinizzazione di esseri umani appartenenti al clero, ma non accettano il prostrarsi disarmato dinanzi a ciò che Divino è davvero.

Ma allora che razza di pacifismo, di tolleranza è  la loro? In cosa consiste la “pace” che predicano?

Ve lo spiego, pescando dai miei ricordi liberal.

Sindrome di Peter Pan clericale

È la pace della morte. Della morte delle passioni. Della narcolessia ontologica del cattolico. Cedimento nella reattività del cattolico medio agli stimoli esterni: è anzi un riflesso condizionato interno alla Chiesa, che promana dal pensiero unico dominante esterno, e spinge il cattolico a ripiegare nell'intimismo i contenuti forti della sua fede, senza più manifestarli pubblicamente, men che meno difenderli, non in società. Nemmeno in chiesa, infine. Scinde la vita dalla religione, il pensiero dalla fede.

L’unica cosa socialmente ammissibile, come manifestazione esterna, è l’aspetto conviviale, giovanilistico, schitarrante, tutto sommato – agli occhi del mondo – inoffensivo appunto perché patetico, nella sua “apertura allo stile” del mondo, che si riduce in una grottesca e, qui pure, anacronistica, farsa della mondanità. Serve a tenere dentro… più che dentro la Chiesa… dentro le sacrestie quelli che già ci stanno, quelli con il complesso dei “papaboys” anche a 40 anni suonati, che all'incirca, laicamente, dovrebbe corrispondere alla sindrome di Peter Pan.

Naturale che un simile atteggiamento clericale, non incameri “nuovi ingressi” dentro gli oratori, e per mascherare il loro fallimento, cercano di mimetizzarsi andando loro “altrove” e confondendosi con la folla amorfa. A confermarla… nei suoi usi e costumi, a infastidirla dicendo che “pure Gesù e la nuova Chiesa” benedicono le loro sodomie, i loro aborti, le fornicazioni, la promiscuità, ogni sorta di corruttela. Tanto c’è la misericordia. E man mano, invece che far entrare altri in chiesa, ad uno ad uno ne escono loro pure. Ci restano se riescono a farne il loro centro sociale.

Dal cristiano anonimo, alla Chiesa plastilina

Questo intendono per “dialogo”, “pacifismo”: un cattolico medio e anonimo, che dell’omissione fa la sua missione, che supinamente accetta tutti i diktat del mondo e le etiche civili mutevoli, puntualmente adeguandovisi. E dove di fatto tutto il sistema etico e dottrinale della Chiesa, pur riconosciuto, come pura teoria, legittimo, nella pratica è considerato inapplicabile al contesto quotidiano e fuori dalla realtà, e dopo un processo sommario di luoghi comuni, è condannato da subito ad essere inincidente nella vita del fedele.

A questa morte sociale e civile del cristiano, ci si riferisce subliminalmente. Nell'attesa della svolta tanto agognata, sulla scia dei pur falliti protestantesimi europei: il dissolversi nella religione civile. Pur nell'illusione di preservare l’una e l’altra cosa, cristianesimo e secolarizzazione, reputate non solo affini, ma sviluppo logico e coerente ciascuna dell’altra. Non è la Chiesa che informa il mondo, ma il mondo che modella la Chiesa, a secondo delle sue esigenze. Più che di cristianesimo anonimo qui bisognerebbe parlare di cristianesimo plastilina: è l’antica tentazione di far modellare la religione dalle mani della casta al potere. È un riflesso condizionato, se vogliamo, dei trascorsi imperiali dell’Europa, dove il cattolicesimo sussisteva e mutuava la sua forza non dal suo essere testimone di Cristo, ma religione dell’imperatore “cattolicissimo”… “cristianissimo”. Con i risultati finali di dissoluzione che sappiamo, al venir meno degli imperatori.

Evirare il cristianesimo. Decapitare gli “integralisti”

Ecco, questa sindrome tutta politica, dovuta a certe cattive seppur necessarie (in quel frangente storico) abitudini della Chiesa europea, ossia la “cristianità” al posto del cristianesimo, oggi sopravvivono trasmutate non nei cosiddetti “integristi” – sovente accusati di essere nostalgici della vecchia potenza sociale della Chiesa e della sua alleanza col potere civile –  ma proprio nei loro accusatori numero uno: i progressisti, i liberal, i clericali che man mano si presentano come pacifisti, dialoganti, democratici, propagatori di un cattolicesimo (che mai chiamano così, parlano genericamente di “cristianesimo”) di un cattolicesimo morbido, smussato, con le unghie tagliate, soft,  moraleggiante, dolciastro ed edulcorato in tutto, sottomesso alla sfera civile soprattutto, possibilmente reticente e quando apre bocca è per rimarcare le parole d’ordine delle aleatorie etiche civili, reputate assolutamente adattabili alla Chiesa, e alle quali comunque adattarsi “riformandosi” di continuo. Questo cattolicesimo qui intendono. In una parola: accomodante. E’ un cristianesimo evirato: per non avere noie, che non sconvolge esistenze. E dove man mano si perde memoria di ciò che si era, si è, si dovrebbe essere. Per rimanere cristiani. “Scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani”.

È la morte della religione che propugnano, talora in buona fede. Accontentandosi, paradossalmente, di un’ecclesiologia inconcludente e querula, parolaia e superficiale, perché la Chiesa vogliono tenersela, ma come chiesa plastilina, appunto. Dove la stessa fede non è un fatto determinante, e se c’è non può che essere in un autoassolutorio dio indistinto, diffuso, né maschio né femmina, né carne né pesce, che si limita solo ad assecondare senza intervenire il percorso di vita scelto da ciascuno, ratificandolo, perché tutto in sé è “buono” e “meritevole” di benedizione divina se solo “a me va bene”. E’ quella che, in altri termini, Ratzinger chiamava la “dittatura delle voglie”. E noi la “religione fai da te” che dall'interno delle facoltà teologiche, delle chiese, delle sacrestie propalano come dottrina del “nuovo corso” che starebbe inaugurandosi.

Un disordine autoritario, dove tutto è concesso meno che essere “integralisti”, l’unico peccato rimasto, il solo peccato originale possibile. Tutto si può pensare, dire e fare, meno che cose da “integralisti”. Visti come agenti di disturbo della clericale concordia conviviale, del rilassamento morale universale, del patto scellerato tra chiesa e mondo, della mistica dell“unità” come armistizio tra bene e male sul cui altare unto d’ipocrisia tutto è sacrificato. È l’appiattimento che si vuole, la piallatura intellettuale, il conformismo più tetragono sotto parvenze festaiole e sentimentali,. Lo si vuole e lo si impone con la violenza dissimulata, sul popolo cattolico non ancora allineato, sospetto di “integralismo”. Ossia di anticonformismo.

L’ossessione dei numeri

La grande giustificante di massa a tutto questo, a questo uscire “fuori” per andare “tra la gente” che in genere si riduce a un uscire fuori dalla Chiesa e basta, è la questione dei numeri.

È la grande ossessione clericale delle chiese “vuote” – e rendono la pariglia agli ecologisti con l’ossessione del mondo “troppo pieno”, per cui si pensa a strategie per spopolarlo di umani e ripopolarlo di animali in via d’estinzione – l’ossessione, dicevo, delle chiese o semi-vuote o semi-piene. Questa smania smodata di riempire di presenze, giacché è la presenza che ormai conta, non la qualità e il senso della presenza. Come, appunto, per il pubblico di un qualsiasi cabaret: conta si vendano tutti i biglietti. Onde tutto bisogna sacrificare al “tutto esaurito”. Spesso riuscendoci.

In cosa consista infine questo “tutto esaurito” l’abbiamo sotto gli occhi. Ma la chiesa piena, piena di chiesaiuoli non vuol dir proprio nulla: spesso è un sacrilegio la loro stessa presenza. Se appena usciti, come un politico “cattolico” qualsiasi, si mettono a capofila di abortisti, omosessualisti, se divorziano, si risposano, affittano uteri, pretendono l’eutanasia. Se non rendono la loro casa una chiesa domestica, la loro vita degna di dirsi cristiana. Se non sono coerenti. Ma al massimo bigotti, clericali, e, va da sé, terminali del politicamente corretto ecclesialese. Il solo “numero” spesso nient’altro è che una bestemmia centuplicata che dal basso sale verso l’alto e sfida Dio.

Il disastro dei corsi di teologia ridotti a ufficio di collocamento

L’ossessione dei numeri, dunque.

Proprio l’altro giorno, un ragazzo, un bravo ragazzo in fondo (credo, almeno), mosso sicuramente dalle migliori intenzioni, e che glielo leggi in faccia che è un soggetto da sacrestie,  a commento di un post su una monaca che canta, così scrive:

«Assolutamente in disaccordo con questo articolo di stampo farisaico; la Chiesa ha bisogno di rinnovarsi, non può restare ingessata dietro schemi preconciliari che incitano i lontani a scappare completamente!! Bisogna muoversi e adottare nuove strategie di evangelizzazione. Non deve essere la gente ad andare in chiesa ma la chiesa ad andare tra la gente!!! Stare chiusi nelle mura dei conventi e delle parrocchie non serve a niente e a nessuno… Gesù Cristo non sa che farsene dei fondamentalisti !! BRAVA SUOR CRISTINA, lo Spirito Santo ti guida».

Le sentiamo spesso questo cose. Nulla da aggiungere, a prescindere da questo caso, che è solo un pretesto per parlare in generale, è il disastro degli scadentissimi corsi diocesani di teologia, che sfornano piccoli Rahner dei poveri, all'amatriciana della trattoria accanto.  Specie al Sud, specialmente in Sicilia, questi corsi di cattiva (ma per dire proprio sgrammaticata) teologia altro non sono che un rimedio alla disoccupazione giovanile, dove qualche cortigiano di preti e vescovi del luogo, gira gira, lecca lecca, trova finalmente il posto fisso. Senza badare a spese e qualità, alla formazione. Nemmeno se veramente aderiscono alla religione cattolica, prima di far finta di insegnarla. E quasi mai vi aderiscono, aderiscono ad astrattismi, intellettualismi, formulette da manuale mandate a memoria in questi corsi qui, ma senza davvero metabolizzarli, senza profondità e capacità di decodificare quell'universo simbolico, raccordandolo con gli altri elementi gnoseologici che tutti insieme concorrono a formare un concetto complesso ma esemplificatore, logicamente fondato.

Sì, perché questo ragazzo qui che in termini tanto poveri concettualmente, e disarmanti teologicamente, per chi un minimo conosca almeno la sintassi ecclesiologica, così prosegue: «Ho solo esposto un parere, se permette posso benissimo farlo, visto e considerato che sono un docente e che mi sto specializzando in Ecclesiologia, (quindi qualcosa ne saprò non trova?)».

Non trovo per niente, in effetti. Suor Cristina… il preconcilio… l’ecclesiologia… i numeri… la chiesa che esce fuori da se stessa: madonnasanta che confusione! A lanciare slogan dalle logge di San Pietro è rischioso: rischi che la gente si fermi a quelli. Fraintendendo tutto il resto. È la logica che gli manca, purtroppo, mancando la conoscenza degli elementi fondamentali su un argomento, gli strumenti per connettere tra loro fenomeni culturali eterogenei. Ma come si può far teologia (un problema che parecchi oggi stanno ponendosi) con ragazzi che spesso vengono fuori da istituti tecnici? Che passano dal commerciale a manuali di teologia, essendo privi di ogni formazione classica, umanistica. filosofica: la logica gli manca, che impari sugli autori dell’Antica Grecia.

A questo bravo ragazzo dalle idee arruffate spiego alcune cose, a commento delle sue sconsiderate dichiarazioni che debbono essergli sembrate un conato di scienza, essendo che la teologia, che pure era il vertice e la summa dei saperi, perché tutte le altre scienze speculative in sé contemplava, oggi è decaduta a opinionismo dozzinale, a mistica del luogo comune, a “secondo me” da rotocalchi popolari; pure i giornalisti, da tempo, fanno teologia caciarona sui media.

“La Chiesa deve andare tra la gente”. Prima dov’era, a bagasce?

A costui, dunque, contesto quel modaiolo “non è la gente che deve andare in chiesa ma la chiesa che deve andare tra la gente”. Queste sono le cose tipiche che dicono i progressisti spoltronati in cattedra da anni, nelle loro torri d’avorio teologiche decadute a fortezza della loro baronia, a postribolo per i loro pruriti narcisistici: gente che da anni si rimira alla specchio, parla al suo stesso riflesso e s’applaude. “Deve andare tra la gente”. Come se la Chiesa se ne fosse mai andata dai luoghi dove la gente sta, come se per secoli la salute, l’istruzione, il conforto, il vitto, l’ospitalità alla “gggente” non li abbia forniti sempre (e solo, talora) la Chiesa, recandosi sotto ogni latitudine e longitudine del globo terraqueo. E in Italia supplendo alle carenze assistenziali dello Stato.

Ma no, figurati se siano mai premurati di studiare la storia della Chiesa quelli con la puzzetta sotto il naso, che si guardano intorno nei templi di Dio e ne provano ribrezzo. Ed è così che dalla cattedra di para-teologia del giorno dopo, dicono come e dove la chiesa “deve andare”. E dopo averle dato, nel loro giovanilismo arruffone, della “vecchia decrepita” e aver  licenziato in blocco come “non adeguato ai tempi” tutto ciò che la Chiesa è ed è sempre stata,  dopo aver bollato tutti quanti quelli che la pensano diversamente (e che magari “tra la gente” ci stanno da un pezzo) come “integralisti”, tirano fuori la parola totem solita: “dialogo”.

“Fuori le suore dai conventi!”

Ma a patto che a parlare siano solo loro. Ma tutto questo non è affatto indice di “dialogo”, qualunque cosa voglia dire. Il sottofondo del discorso che fanno mira altrove, anche se non osano ammetterlo apertamente… e magari sono in buonafede: si inizia a rimarcare l’aspetto conviviale dell’essere “dentro” la Chiesa, si pone come meta fittizia quella dialogica, si perora un “fuori tutti” dall'edificio sacro, si arriva a dire che “non serve a niente” che ci siano delle suore “chiuse dentro quattro mura”, ossia nei conventi, e dunque “non serve a niente pregare” (ché questa è la funzione principale della vita religiosa, qui sta anche il suo aspetto sacrificale, di olocausto personale innalzato a Dio per la salute spirituale dell’uomo e in riparazione dei peccati collettivi), quindi “fuori tutti” anche dai conventi, andando “incontro alla gggente”.

Ma a fare che di preciso? Convivio, “agape”, e altri cazzeggi para-ellenici (va per la maggiore, tra i progressisti, il greco caricaturale in sfregio al latino, lingua ufficiale della Chiesa). Intrattenimento. Sentimentalismo. Animazione. Tante cose si possono fare andando “verso la gente”, fuori da conventi e chiese. Tutto meno che evangelizzare, va da sé. Tutto meno che riportarle in chiesa, quelle figure ormai mitologiche dei “lontani”. Ossia di tanti che dall'alto in basso, secolarizzati da un orgoglio bestiale, giudicano la Chiesa non all'altezza delle proprie consuetudini, etica, moralità, convinzioni, pur in assenza di ogni etica, e moralità che  non sia quella degli edonisti e dei satrapi. Alle anime dovrebbero pensare, non all'animazione.

L’importante è esserci, non convertirsi. La Chiesa-intrattenimento

Tutti quanti… l’importante è esserci tutti, essere tanti.

Ma mica è obbligatorio andarci in chiesa, mica conta il numero, mica è necessario trabocchi di gente la messa: è nell'interesse di ciascuno salvarsi… Che poi la Chiesa al pari dei partiti ormai sia ossessionata dai numeri, dalla quantità, dalle statistiche è altro discorso, e semmai è un ulteriore dato di mondanità spirituale. Ma Cristo non ha mai parlato di numeri, e non ha mai promesso un rapporto sereno col mondo. La Chiesa deve contestare il mondo e il suo spirito. Il destino della vera Chiesa sarà sempre infine il martirio. Dopo aver traversato infiniti deserti di solitudine, costellati di scorpioni. Così vorrei non fosse, ma così è perché così ha promesso il Messia. Essendo non in questo mondo la nostra “ricompensa”. E quando qualcuno cerca la ricompensa qui, dice Gesù, e l’ottiene, non se ne aspetti un’altra altrove.

Questo ho detto al nostro ragazzo. E così ho concluso:

«Quindi, per piacere, non mi venga a fare quello che da altezze incommensurabili, pur con pochi decenni di vita sulle spalle, d’improvviso arriva e urbi et orbi dichiara “la chiesa deve andare dalla gente” come se poco prima andava solo a bagasce, come non fosse sempre stata la sola e unica religione missionaria, perché ha nel suo DNA la necessità di comunicarsi e trasmettersi».

La risposta?

«Gentile Mastino, trovo i suoi toni poco gentili ed aperti al dialogo…».

Fonte
http://www.papalepapale.com/develop/la-chiesa-plastilina-o-della-mistica-del-dialogo-come-armistizio-tra-bene-e-male/

Commento


Cari amici, nonostante l'amarezza dovuta alla situazione, in un certo senso sono quasi contento di vivere spesso la situazione vissuta dall'autore dell'articolo Antonio Margheriti, sia con gli amici, negli ambienti sportivi, in quello teatrale e in generale in tutti quelli ricreativi che frequento. Ciò è dovuto al fatto che, come ha ribadito il Santo Padre in Evangelii Gaudium, anche i laici credenti sono chiamati nei limiti dei loro mezzi a partecipare, qualora vi fosse la necessità, all'insegnamento della dottrina, non certo per scimmiottare alcune confessioni protestanti bensì come gesto di carità spirituale e ovviamente anche per compensare la presenza spesso mancante dei sacerdoti dovuta soprattutto al calo di vocazioni del tempo in cui viviamo.

Spesso però, riflettendo al di fuori di queste situazioni, mi sento quasi in imbarazzo e spesso domando a me stesso con una certa rabbia: "Com'è potuto succedere che ci siamo ridotti in questo modo?". Ossia: io, non certo un santo ma un semplice laico credente e pieno di vizi e difetti, costretto a insegnare l'A-B-C della dottrina, persino a persone che molto più di me frequentano persone e ambienti cattolici. Ripeto è una situazione quasi imbarazzante, non certo per paura di dire ciò che penso o che mi è stato insegnato, ma perché a volte penso che forse non sono la persona adatta a fare ciò.

In quest'epoca di apostasia silenziosa, come l'ha definita il vescovo guineano Robert Sarah, dobbiamo saper fare di necessità, virtù, guardando sì al passato, per capire le cause e gli artefici del disastro ed evitare che esso si ripeta ma al tempo stesso, non avendo il lusso della scelta, andare avanti farsi coraggio anche con un vecchio motto delle mie parti "piuttosto che niente, meglio piuttosto".

Aiutiamo il Signore ad aiutarci!

Riccardo Ing.


lunedì 16 giugno 2014

BERGOGLIO APRE AI BORSEGGIATORI?

5 giugno 2014 by ricciotti

«Quando prendevo il bus a Roma e salivano degli zingari, l’autista spesso diceva ai passeggeri: `Guardate i portafogli´. Questo è disprezzo, forse è vero, ma è disprezzo», queste le parole di Bergoglio durante l’evento organizzato dal Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti che si è tenuto giovedì nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico: «La Chiesa e gli zingari: annunciare il Vangelo nelle periferie». Secondo Bergoglio sarebbe, dunque, ingiusto informare le persone (anche le vecchiette) che esistono i borseggiatori.

Bergoglio ha aggiunto: «spesso gli zingari si trovano ai margini della società e a volte sono visti con ostilità e con sospetto». Prosegue: «Sono tra i più vulnerabili, soprattutto quando mancano gli aiuti per l’integrazione e per la promozione della persona umana nelle varie dimensioni del vivere civile». Secondo Bergoglio i Rom sarebbero solamente sfortunati in Italia, peccato che in tutto il mondo vivono la stessa condizione.

Rimarca: «i gruppi più deboli sono quelli che più facilmente diventano vittime delle nuove forme di schiavitù: sono infatti le persone meno tutelate che cadono nella trappola dello sfruttamento, dell’accattonaggio forzato e di diverse forme di abuso». Specifica: «Tra le cause che nell'odierna società provocano situazioni di miseria in una parte della popolazione, possiamo individuare la mancanza di strutture educative per la formazione culturale e professionale, il difficile accesso all'assistenza sanitaria, la discriminazione nel mercato del lavoro e la carenza di alloggi dignitosi». Secondo Bergoglio sarebbe colpa del popolo italiano se i Rom vivono in miseria. Lo Stato affami un pochino di più i pensionati ed i giovani e destini più denaro ai Rom, dunque!

Conclude: «[...] Gli zingari possano trovare in voi dei fratelli e delle sorelle che li amano con lo stesso amore con cui Cristo ha amato i più emarginati: siate per essi il volto accogliente e gioioso della Chiesa».

L’amore di Cristo non è mai stato accoglienza per il peccato, cosa che Bergoglio spesso sembra dimenticare, difatti la Chiesa ci insegna: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più» (Gv 8,11); «perché in questo consiste l'amore di Dio, nell'osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (Gv 5,3), ecc…

Questo sito riporta migliaia di esempi di integrazione.

Fonte
http://radiospada.org/2014/06/bergoglio-apre-ai-borseggiatori/

Commento

Cari amici. Vorrei ragionare concedendo il beneficio del dubbio al nostro Santo Padre in merito alla questione ROM dato che, essendo vissuto in Argentina, non conosce la situazione ormai plurisecolare degli
Zingari in Europa e nella fattispecie in Italia.

Ciò nonostante, visto che egli stesso ha più volte ribadito: "Aiutatemi e pregate per me se sbaglio.", mi sentirei di dire che bisognerebbe fare attenzione a certe frasi e affermazioni, non tanto perché possono esse urtare la sensibilità di qualcuno ma per i seguenti motivi:

  • Molte frasi singole sono sbagliate e incompatibili con la dottrina cattolica, anche qualora siano estrapolate da un contesto più ampio.
  • Confondono ancor di più i cattolici, soprattutto quelli più devoti.
  • Spesso divengono armi nelle mani di chi vuole distrugge la Chiesa in modo "SOFT": Scalfari, Mancuso, ecc.
Esorto quindi alla virtù di Prudenza il Santo Padre e il clero in generale poiché il NEMICO ESISTE, e a differenza nostra non misericordioso ma spietato e se ne approfitta delle nostre debolezze e misericordie.


Riccardo Ing.


martedì 27 maggio 2014

Quanto vale la società cattolica? 80 EURO?


Cari amici. Anche queste elezioni sono passate e tra le tante cose negative che non cambiano, una sola si mantiene costante: il partito di riferimento della Sinistra in Italia, il Partito Democratico, ha ottenuto 11 milioni di voti, esattamente come le elezioni precedenti, quelle prima ancora e quelle ancora prima.

Il mio caro e amatissimo nonno Aldo diceva a quel bambino grassottello di 4 anni che ero:
"Ricorda! I Comunisti vanno sempre a votare!"...
"I comunisti?" Mi chiedevo...
"I comunisti?" Mi chiedo tutt'oggi.
Ma chi sono questi comunisti di oggi?

Ascoltando settimana scorsa alcuni analisti e esperti di sondaggi indicavano che i Cattolici Italiani avrebbero votato per il Partito Democratico.
Ma qual'è il motivo di fondo?
E' bastato sapere che Renzi in chiesa a messa ci va?


* Tratto da wikipedia il 21 Dicembre 2013, prima che la pagina fosse aggiornata 

Davvero è solo una questione "di abitudine"?
Di non conoscenza? Dei presunti 80 EURO?

Di tutte le ragioni possibili, l'ultima citata è quella che mi spaventa maggiormente. Davvero la nostra cristianità vale 80?

80 Euro oggi,.... come 30 pezzi d'argento allora?
80 Euro per avere le seguenti persone a guidarci:

Ho sempre preferito o meglio desiderato che il mio paese, i miei concittadini ce la facessero con le proprie forze, senza dipendere da altre nazioni, a per quanto possa provare simpatie o vicinanza di idee con alcune. Purtroppo anche in questo caso sono rimasto deluso dalle mie aspettative. Io, come molti di voi, mi trovo nella condizione di non poter fare troppo schizzinosi in fatto di alleanze, quindi io vi dico:
  • Ben venga Marine Le Pen
  • Confidiamo nella Russia di Putin
  • Prosegua Nigel Farage in Inghilterra, per quanto il modello economico e anche sociale da lui proposto non possa certo definirsi giusto su diversi aspetti
Aiutiamo il Signore ad aiutarci
Non so voi ma, personalmente, 80 voglia di qualcosa di meglio.

Riccardo Ing

PS:

" Si Padre, sono cattolico e comunista..."
" Che io ricordi, credo di non aver udito mai, una fesseria simile."
( San Pio da Pietrelcina )

mercoledì 21 maggio 2014

La teologia atea: il caso Vito Mancuso

Nella storia della Chiesa è curioso il fenomeno per cui molti dei più feroci anticlericali siano stati ex-seminaristi. Due esempi curiosi su tutti: il dittatore Stalin e il quasi matematico Odifreddi (l’elenco è lungo).

Il teologo Vito Mancuso è a sé stante: dopo essersi spretato ha cominciato anche lui a combattere la Chiesa, ma professando contemporaneamente una forma di spiritualismo cristiano-buddhista-vegano-ecologista, un moralismo laico e sincretista basato su termini new-age come “empatia”, “armonia”, “energia” ecc.

Mentre un anticlericalismo violento e dichiaratamente ateo viene respinto dalla maggior parte delle persone, il potere di persuasione di Mancuso -grazie al suo approccio “soft”- è al contrario estremamente elevato. Per questo il furbissimo e laicissimo Eugenio Scalfari lo ha premiato, donandogli il ruolo di editorialista di “Repubblica”.

E’ da queste colonne che -consapevole della crisi d’identità del protestantesimo odierno, a rischio di estinzione nelle società occidentali- da anni spinge per una riforma in chiave protestante dell’etica cattolica, sapendo così di indebolirne le fondamenta. Proprio oggi un suo articolo-pippone, non certo sui cristiani massacrati in medioriente, ma sul “diritto dei preti di sposarsi”, ovviamente tutto «per il bene della Chiesa». L’ossessione di Mancuso, tra citazioni evangeliche e bibliche, è sempre rivolta alla bioetica e il modus operandi è insidioso: «che ne sarebbe della Chiesa se fallisse Francesco?», si è domandato tempo fa. Se Papa Francesco non farà una rivoluzione -è la minaccia di Mancuso-, cioè se non aprirà a: matrimoni gay, fecondazione artificiale, sperimentazione su embrioni, eutanasia/testamento biologico, sacerdozio femminile, adozione gay, preti sposati ecc., allora «sarebbe la fine della luce che si è accesa nell’esistenza di tutti gli esseri umani non ancora rassegnati al cinismo e alla crudeltà della lotta per l’esistenza». Il ricatto è evidente.

Un altro recente editoriale, altrettanto significativo, è stato quello del Venerdì Santo. Mentre nel mondo si svolgeva la Via Crucis per ricordare la passione di Gesù Cristo, il teologo Mancuso ha parlato anche lui di Via Crucis ma senza mai citare Gesù, preferendo parlare -non si sa con quale autorità o competenza- di economia, dell’accumulo di denaro, del consumismo, dell’antropocentrismo cristiano ecc. Un fatto significativo per un teologo “cattolico” ignorare il senso della Pasqua e non prendere mai posizione sulla morte di migliaia di cristiani nel mondo, preferendo qualsiasi altra tematica.

I dubbi sulla vera identità di Mancuso sono venuti perfino ad un intellettuale laico come Angiolo Bandinelli. Il teologo di Carate Brianza ha infatti partecipato -ne avevamo già parlato- ad un’intervista in cui ha apertamente negato Dio e l’intervento divino, spiegando che i miracoli «sorgono dal basso, dall'energia della mente umana». Aggiungendo, inoltre, l’assurdità che «una carezza, una parola dolce hanno lo stesso potere curativo di un farmaco».

Bandinelli, perplesso perfino lui, ha commentato: «vi è tutta una letteratura di stampo libertino-illuministico che tende a spiegare in termini naturalistici gli eventi o le situazioni proprie della religiosità. Ora, con Mancuso, siamo al miracolo come “prodigio dell’energia della mente umana”. Non innova di molto, il suo è solo positivismo aggiornato e sofisticato».

Fonte:
http://www.uccronline.it/2014/05/19/la-teologia-atea-il-caso-vito-mancuso/

Commenti

Cari amici. Qualche giorno fa ho appurato che quanto prevedevo e temevo coincideva con la realtà, ossia diverse persone che conosco e che sono cattolici praticanti che vivono molto la vita oratoriana e gli ambienti cattolici sono lettori assidui e appassionati degli articoli di Vito Mancuso.
Potreste obbiettarmi giustamente che la cosa di per se non è un male se fatta all'insegna di un sano pluralismo, ma dato che da come essi ne parlano pare che preferiscano le sue deviazioni moderniste al limite (e spesso oltre) l'apostasia, allora non posso non sconsigliarne la lettura sia alle persone che conosco bene sia a quelle che non conosco affatto. Se non lo facessi verrei meno all'obbligo di carità spirituale.

Potrei fare anche altre considerazioni sull'insipienza dottrinale che ha la maggior parte dei giovani cattolici, ovviamente non certo per colpa di loro stessi, e se a ciò si unisce la non-conoscenza di nomi, cognomi, metodi e motivazioni degli anticattolici (quasi quest'ultimi fossero entità immaginarie o appartenenti ad un remoto passato di persecuzioni), allora il terreno è fertile per "l'anticattolicesimo zuccherato" come lo ha giustamente definito quelli della redazione di RadioSpada in questo articolo.

Chiamatelo se volete anche "Teologia della Liberazione", "Ribellione nella Chiesa" o "Autodemolizione della Chiesa".

Sta scritto che le porte dell'Inferno non prevarranno e la Chiesa trionferà....
Ciò non sia pretesto per non fare nulla o peggio ancora aiutare i demolitori!!!!

"Fratelli, camminate nel Signore Gesù Cristo, come l'avete ricevuto, ben radicati e fondati in lui, saldi nella fede come vi è stato insegnato, abbondando nell'azione di grazie. 
Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo."
Lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi 2,6-8


Riccardo Ing

lunedì 19 maggio 2014

TSIPRAS VUOLE L'EURO E "CORREGGE" LE OPINIONI POSSIBILISTE DEI SUOI CANDIDATI: «NON SIAMO CONTRO L’EURO»


«L’euro non è in discussione», ha detto oggi il candidato alla guida della Commissione europea in un’intervista tv. «Vogliamo salvare la Grecia all'interno dell’euro».

Tutta colpa del vecchio partigiano e oppositore dei Colonnelli Manolis Glezos, 91 anni, ora candidato di Syriza alle elezioni europee: «Se ci converrà, rimarremo nell'euro, altrimenti no», ha detto Glezos lo scorso 29 aprile, poco dopo la presentazione ufficiale della sua candidatura.

«Non siamo contro l’euro» ha voluto chiarire Tsipras.

Fonte
http://radiospada.org/2014/05/tsipras-vuole-leuro-e-corregge-le-opinioni-possibiliste-dei-suoi-candidati-non-siamo-contro-leuro/

Commento

Cari amici se vi sta a cuore il destino dell'Italia, della sua sovranità e della nostra tradizione, non dovreste votare Tsipras anche alla luce delle "sconcertanti " dichiarazioni del suo candito di spicco in Italia, l'attore e drammaturgo Moni Ovadia:
"In Italia servono altri 10 milioni di immigrati"....
"Le nazioni e i nazionalismi hanno portato ai regimi nazifascisti del novecento...."

Disintegrarci e autodistruggerci, e forse questo vuoi?

Com'è bella la filantropia!.... quando la fai a spese del popolo!!!

Com'è bella la società fraterna e multietnica!.... quando la vedi lontano in periferia, dal dall'alto dei superattici di questa nuova borghesia apolide, totalmente insensibile alla guerra tra disperati colpiti dalla finanziarizzazione dei salari, quasi sempre causata dalle stesse manovre speculative di questi "Grandi Progressisti Compassionevoli" alla George Soros o alla Warren Buffet.

(La situazione sociale disastrosa in USA post anni '80 docet).

Francamente mi stancato di sopportare standomene in silenzio, tutti questi attacchi zuccherosi alla nostra civiltà europea da parte di quelli come te. Che male ti abbiamo fatto? Perché ci odi? Perchè ci vuoi spingere all'autodistruzione con questo razzismo scientifico neomalthusiano?

Ciò che mi rende ancora più triste però è vedere molti cristiani che preferiscono ascoltare te e quelli come te che la dottrina della Chiesa, pensando che così si faccia il bene dell'uomo.
Voi fallirete!

Shalom! Sig. Moni Ovadia!














Riccardo Ing.